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Parrocchia San Nicola - Torremaggiore-

III Catechesi comunitaria 23-02-201L

BEATI GLI AFFLITTI.

lstampa

"Beati gli afflitti perché saranno consolati" Mt 5,4

 

Umanamente parlando non ci sono risvolti positivi in un fenomeno che denuncia un

male fisico o morale e non basta la psicologia che vede nel pianto una liberazione

per giustificare la beatitudine annunciata dal Vangelo. Ci chiediamo se c'è in quelle

parole una finzione letteraria e quale sia: se lo stato di afflizione o quello di

beatitudine.

In realtà coesistono e li lega la speranza perché nell'Israele antico l'afflizione e la

gioia sono vissuti dentro l'anelito religioso della terra promessa. Con la presenza di

Gesù si modifica evidentemente il rapporto: non sei prima afflitto e poi beato

perché ti arride il pensiero che verrà la consolazione, ma sei beato proprio perché

sei afflitto. Chiaro che non si tratta del tipo di afflizione facile all'uomo carnale: la

salute che fa cilecca, la penuria materiale, le incomprensioni inevitabili, l'ansia per il

domani. ..

L'afflitto evangelico a cui è promessa la consolazione di Dio è l'uomo premuto sotto

il torchio di un dolore non generato dalla carenza di gioie terrene, ma dalla

sproporzione tra il senso della propria distanza da Dio e il bisogno vitale della sua

salvifica presenza.

L'afflitto è l'uomo dal cuore spezzato perché è giunto ad un tale grado di povertà

da percepire dolorosa la frattura interiore tra l'impotenza e l'indegnità personale e

l'anelito inesausto di ogni valore infinito, tra l'impulso profondo alla comunione con

Dio e l'incapacità a realizzarla con qualsiasi sforzo.

L'afflizione religiosa è piangere d'amore, con amore, per amore. Così appunto Gesù

piange almeno in due casi: sull'amico Lazzaro morto (Gv 11,35) e sulla città amata,

Gerusalemme (Le 19,41). Il valore minacciato su cui egli si affligge è in entrambe le

circostanze l'amicizia, l'amore.

Essere afflitti in Cristo, con Cristo, per Cristo: questa è la vera beatificante

afflizione. Allora si comprende perché gli apostoli cacciati dal sinedrio "se ne

andavano lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù" (At 5,41). Dal

punto di vista evangelico tu sei beato non come ricompensa d'essere stato afflitto,

ma lo sei se partecipi al mistero di Cristo, se ti accade di soffrire per il suo nome.

C'è sempre un piccolo test che puoi applicare a te stesso per sapere se la tua

afflizione è di marca evangelica oppure no: la compresenza, in profondità, della

gioia. Se mentre subisci la pena il tuo cuore è sereno ciò dimostra che un motivo

d'amore ti sostiene.

Ma "come è possibile soffrire ed essere insieme beati?" obietta il principio logico di

non contraddizione. Di uno che s'innamora commentano: "ha perso la testa". Ed è

vero nel senso che per quanto razionale sia lo muove ora soltanto la forza

dell'amore che fa vero ciò che crede, che fa bello ciò che tocca. Il cristiano è uno

che ha letteralmente perduto la testa dietro una Persona che non gli chiede solo di

credere ai paradossi , ma di viverli; uno che riconosce la beatitudine dal suo

contrario così da scrivère tranquillamente come S. Pietro: "Trasalite di gioia voi che

ora siete afflitti" (l Pt 1,16). Se questa non è follia per il buon senso umano!

Ma se gli afflitti sono contemporaneamente beati, perché Gesù promette loro la

consolazione al futuro? Leggendo un po' più vanti nei Vangeli si può scoprire qual è

questa consolazione di Dio: è lo Spirito Santo. A lui Gesù dà appunto il nome di:

"Consolatore" (Gv 16,7) e lo promette in dono ai suoi amici nell'ultima cena. E'

chiaro che quando il Cristo predica le beatitudini sta agli inizi della sua vita

apostolica e per chi lo ascoltava allora lo Spirito era una promessa. Ma per noi che

veniamo dopo la risurrezione, ora che il Consolatore è stato effuso in abbondanza,

non ha valore il futuro: noi siamo già consolati.

Per arrivare a trasmettere la consolazione di Dio bisogna che un uomo sia tanto

povero e beato da essere recipiente aperto, riempito di Spirito Santo, e allora ciò

che trabocca da lui ha l'unzione divina.

Lasciandoci il suo Spirito Gesù ci ha messo in mano il deposito della consolazione.

Siamo perciò attualmente sempre consolati, purché lo vogliamo. Il brutto è che

spesso non lo vogliamo.

Naturalmente parlando, nessuno vuoi essere salvato. D'essere in salvo, sì, gli va

anche bene, ma fa differenza con l'essere salvato. Tutti i participi passivi

umanamente non piacciono; consolato, salvato, giustificato ... vuoi almeno dire che

sei costituzionalmente afflitto, perduto, ingiusto.

Quando Gesù all'infermo della piscina probatica, incapace di aiutarsi, chiede: "Vuoi

guarire?" (Gv 5,6) può sembrare che ponga una domanda sciocca. Eppure non è

così sciocca. Perché c'è anche chi non vuoi esserlo.

Essere salvati è ammettere di essere perduti, venire consolati è legato all'avere

un'afflizione e costa il sincero riconoscimento della propria povertà. Ma non c'è via

di scampo: se non ti iscrivi alla categoria degli afflitti non puoi essere consolato, se

non ti cataloghi tra i perduti non sperare salvezza, se vuoi sentirti giusto a tutti i

costi, chi ti giustificherà?

Quando si è con l'acqua alla gola diventa un gesto spontaneo tendere la mano: non

si pensa all'umiliazione della dipendenza. Ma vai a dire a chi si sente al sicuro, in

terra ferma, che forse ha bisogno anche lui d'essere salvato. Altrettanto è

dell'essere afflitti e consolati. L'afflizione cristiana non solo cela in sé la beatitudine

ma genera quell'umiltà del cuore povero che si apre riconoscente alla consolazione

di Dio, che si lascia colmare del suo Spirito d'amore e diventa capace di consolare i

fratelli. Il Consolatore c'è, ma non c'è quasi nessuno che lo riconosca e lo invochi

come Consolatore. Si va a cercare consolazione l'uno dall'altro - l'amico, lo

psicologo, il medium, lo stregone - ma non si va a bussare alla porta dello Spirito.

Eppure lo Spirito è perennemente in mezzo a noi, dentro di noi. Se sospiri, egli è

nel tuo respiro.

Sarebbe uno spettacolo un po' più degno degli angeli, meno cristiani musoni per i

contrattempi individuali e più afflitti 'interiormente per la causa di Dio, fino a

giungere là dove fioriscono i santi capaci di piangere solo perché "l'amore non è

amato" (come soleva ripetere S. Francesco nel bosco sul monte della Verna).

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