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Parrocchia San Nicola

-Torremaggiore-

 

IV Catechesi comunitaria

In Dio   

LA FORTEZZA

La virtù della fortezza riguarda l'esercizio della giustizia, la prosecuzione del bene: essa ci assicura di vivere e di compiere il bene in ogni

situazione. "È la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene" (Catechismo della Chiesa

cattolica, n. 1808). A noi il vocabolo 'fortezza' risuona antiquato e non lo usiamo nel linguaggio ordinario. Siamo tuttavia coscienti del fatto

che il vocabolo indica una realtà molto attuale.

Dire 'fortezza' significa parlare della paura e del coraggio: e tutti noi abbiamo momenti di paura, di ansia, di angoscia. Spesso la paura

ci impedisce di compiere ciò che sappiamo essere bene o giusto, oppure non ci permette di parlare. Noi preferiamo usare i termini "conformismo" e "rispetto umano"; ma si tratta, in realtà, di paura.

Sono tanti gli atteggiamenti contrari alla fortezza. Ne ricordo uno, perché è molto dannoso nei paesi dove regna la mafia: l'omertà, che è una forma di paura.

Il campo della fortezza è dunque molto ampio, perché di questa virtù c'è bisogno là dove si deve resistere a minacce, si devono superare le paure, si devono affrontare la noia, il disgusto dell'esistenza quotidiana per riuscire a mettere in atto il bene. Per questo è una delle virtù umane, morali fondamentali, che ogni persona onesta dovrebbe vivere. In quale modo possiamo vincere le paure, superare il rispetto umano, mostrare coraggio?

Enuncio anzitutto cinque tesi, che poi riprenderò a una a una:

1. La fortezza suppone la nostra vulnerabilità; posso, cioè, essere forte e coraggioso perché sono vulnerabile.

2. La fortezza è riferita, in ultima analisi, all'ultima vulnerabilità dell'uomo: la morte. La fortezza è, appunto, la virtù che ci fa superare la paura della morte.

3. Di conseguenza, per il cristiano la fortezza si riferisce in maniera privilegiata al martirio: dare la vita, affrontare la morte per il sommo bene e per evitare il sommo male che è il peccato, la perdita della fede, il tradimento di Dio.

4. La fortezza non è semplicemente una forma di audacia, di spavalderia che fa stringere i denti in uno sforzo eroico. È, invece, un abbandonarsi in pace a Dio, sapendo che siamo deboli, fragili; è distensione del cuore, pace interiore.

5. La fortezza si esprime al meglio nel resistere, nel vivere la virtù cristiana della pazienza, e non nell'aggressività dell'attacco (si è forti perché si attacca). La grandezza d'animo del cristiano e la sua magnanimità si rivelano nella paziente fortezza.

1. La fortezza suppone la vulnerabilità

È importante premettere che noi possiamo essere forti, fermi, coraggiosi e resistenti solo a partire dal fatto che siamo fragili. Ciascuno di noi è fragile corporalmente ed è vulnerabile psicologicamente. Abbiamo dentro di noi un fondo di timore, di paura, un senso di disagio e di difficoltà, per quanto ci sforziamo di nasconderlo. La vulnerabilità fisica e psicologica è parte della natura umana. D'altra parte, se non ci sapessimo vulnerabili, non riusciremmo mai a essere coraggiosi, a crescere nella fortezza: saremmo spavaldi, millantatori. Forte è colui che sa di essere debole, che conosce la propria fragilità e ne prende coscienza.

Il primo gradino della fortezza cristiana non è di stringere i denti, bensì di prendere umilmente consapevolezza della propria debolezza. In proposito ricordiamo alcune parole di Gesù:

* "Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno" (Lc 12,32). 'Piccolo gregge ' è un gruppo di pecore inermi, vulnerabili, che si trovano in mezzo ai lupi.

* E l'apostolo Paolo riprende il concetto di fragilità quando dice: "Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio" (2Cor 4, 7).

2. La fortezza fa superare la paura della morte

La vulnerabilità più grave a cui l'uomo è esposto, è la morte. La paura della morte è dunque la madre di tutte le paure, perché si esprime anche riguardo a ciò che, in qualche maniera, anticipa la morte: dolori, disgrazie, malattie.

Noi rifuggiamo non solo da ogni messaggero della morte fisica, ma pure dai messaggeri della morte di noi come persone civili e sociali: ci ripugnano le umiliazioni, abbiamo paura delle accuse, delle calunnie, della carcerazione, della solitudine, degli abbandoni. E queste paure possono giungere fino al suicidio.

Ora, la fortezza è la capacità di guardare a tutti i tipi di "messaggeri" senza panico; non perché non siano dei mali, ma perché li consideriamo in vista di un bene più grande, di una certezza più grande, di una forza più grande di noi. San Paolo, dopo aver ricordato che "abbiamo questo tesoro in vasi di creta" , descrive le nostre forme di fragilità: "tribolati da ogni parte, sconvolti, perseguitati, colpiti". Ma noi resistiamo affinché "la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo" (cf 2Cor 4, 7.8.11). Dunque, in noi opera la morte, però noi abbiamo fiducia in Dio. La fortezza è una virtù molto importante per non turbarci nelle avversità e nemmeno di fronte alla morte; essa, infatti, ci consente di guardare all'aiuto di Dio, al bene che siamo chiamati a compiere, alla forza che ci viene donata dall'alto.

3. Il martirio

Il caso serio della fortezza cristiana è il martirio che, come dicono i più antichi Padri della Chiesa e poi anche sant'Ambrogio, va considerato come l'atto più tipico e specifico di questa fortezza cristiana.

La disposizione al martirio, tuttavia, non è propria solo di alcune persone in tempi di persecuzione: essa è implicita nelle promesse e rinunzie battesimali. Non c'è fortezza cristiana se, nella sua radice, essa non è disposizione a dare la vita per la fede. È una verità che ci può spaventare, alla quale forse non abbiamo mai pensato. Comunque ci fa comprendere la serietà di rinnovare ogni anno, nella notte di Pasqua, le promesse battesimali. Promesse di aderire a Gesù, di rinunziare al male, di essere pronti a tutto per non rinnegare la fede e per non commettere un peccato grave. Per questo la fortezza cristiana (che viene a perfezionare quella umana) è una grazia, un dono che colma l'animo di pace proprio là dove la paura rischierebbe di smarrirsi.

È una grazia da implorare quotidianamente con umiltà. "Non ci indurre in tentazione", invochiamo nel Padre nostro; come a dire: "fa', o Signore, che io non entri in una situazione in cui potrei rinnegare la fede". Poi aggiungiamo: "ma liberaci dal male"; e il male più grande è il peccato: "fa' che io non rinneghi Te, sommo Bene, per nessuna cosa al mondo, per il timore di nessuna perdita, per l'attrattiva di nessun guadagno, qualunque fosse".

4. La fortezza come abbandono a Dio nella pace

Ho enunciato nella quarta tesi che la fortezza cristiana non è semplicemente una forma di audacia, non è un chiamare a raccolta tutte le forze psicologiche e morali per compiere un atto eroico. È, anzitutto, un abbandonarsi in pace a Dio e alla sua vittoria, è distensione del cuore e pace della mente. Beati noi quando avremo imparato davvero che cos'è la fortezza cristiana!

Leggiamo nel libro dell'Esodo: "Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore e dissero: 'Voglio cantare in onore del Signore, perché ha mirabilmente trionfato, ha gettato in mare cavallo e cavaliere" (15, 1-2). Il canto, molto bello e che potreste pregare, esprime l'esultanza di un popolo che era pieno di paura, spaventato dalla propria

inadeguatezza, assolutamente impreparato ad affrontare la moltitudine dell'esercito egiziano, di un popolo a cui però Mosè aveva detto: "Il Signore combatterà per voi e voi starete tranquilli" (Es 14, 14). Il popolo aveva creduto alle parole di Mosè e, dopo la vittoria, esulta e loda il Signore.

Dunque, la fortezza cristiana è tranquillità d'animo pur in situazioni che indurrebbero alla paura.

5. La fortezza come resistenza

L'ultima tesi, classica nella tradizione cristiana sulla fortezza, afferma che questa virtù si esprime al meglio non nell'aggressività o nell'attaccare, bensì nel resistere (in latino sustinère). San Tommaso, citando Aristotele, scrive: "È principalmente nel resistere alla tristezza che alcuni sono detti forti". Resistenza quindi alla tristezza, all'accidia, che ostacolano il compimento del bene.

Infatti, oltre al caso serio del martirio, c'è la quotidianità, nella quale dobbiamo resistere nel nostro dovere, nel nostro lavoro, nel fare il bene malgrado tristezze, fatiche fisiche, psicologiche, malinconie, forse nostalgie di situazioni diverse. Dobbiamo resistere nel bene non solo quando ci sono i nemici interni, come appunto la fatica e la frustrazione, ma pure quando i nemici vengono dall'esterno: incomprensioni, maldicenze, strumentalizzazioni, calunnie. E dobbiamo resistere nella pace, perché è questo il dono della fortezza.

La fortezza è allora molto necessaria oggi e tutti i giorni. È necessaria soprattutto in una società molle, flaccida, paurosa, in cui ci si spaventa di fronte alla prima difficoltà, nello studio, nel lavoro, nella vita coniugale, nella vita comunitaria. È virtù di tutti i giorni, perché non c'è bontà senza fortezza, non c'è giustizia senza questa capacità di resistere al logorio quotidiano. Proprio nella quotidianità si esprime la magnanimità del cristiano, la sua capacità di sopportare, per amore e con la grazia di Dio, situazioni pesanti e ingrate.

Conclusione

Senza la fortezza non c'è giustizia sulla terra; senza la fortezza nessuno farà il bene fino in fondo e la nostra società diventerà una società di scontenti e di frustrati. È questo il prezzo che si paga quando non c'è la fortezza. Perché chi è debole, anziché chiedere a Dio il dono della fortezza, si lascia vincere dalla scontentezza, dalla divisione interne, o chi crede di essere forte e perciò è ancora più debole, finisce per logorare il suo fisico e la sua psiche.

In Dio solo è la nostra fortezza. Tu sei la mia fortezza, il mio baluardo, il mio scudo di salvezza: tu solo, Signore!

(A CURA DI DON PIETRO FABBRIZIO)

 

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