ARROCCHIA SAN NICOLA
TORREMAGGIORE
CATECHESI COMUNITARIE MENSILI: I SETTE VIZI CAPITALI
GOLA
La
gola, secondo una tradizione che risale al vangelo, aprirebbe la
lista dei pensieri che generano i vizi; infatti, la prima
tentazione di Gesù nel deserto riguarda proprio il cibo. Questa
primogenitura non sta ad indicare che questo vizio sia il più
grave, ma avverte che con esso si inaugura la strada dei vizi e
delle tentazioni. Il suo primato, comunque, sottolinea una sua
particolare importanza ed un qualche legame con tutti gli altri.
E così come inaugura tale strada, il suo superamento potrebbe
prevenirla. Non sarà un caso se Gesù stesso dirà ai suoi che
alcuni demoni si vincono con preghiera e digiuno. Non è un caso
se il tempo di Quaresima ci propone proprio il digiuno per
crescere e rafforzarci nella dimensione spirituale.
In
ogni modo si tratta di un vizio difficoltoso da vincere anche
perché, come nel caso dell’olfatto, si tratta di un senso
primordiale e quindi istintivo.
In
Vite parallele
Plutarco (I-II sec. d.C.) riferisce un detto di Catone il
Censore: “È cosa difficile discutere con il ventre perché
non ha orecchie”.
Come
per gli altri peccati capitali, anche la gola è in sostanza la
degenerazione di una realtà positiva, in questo caso del
cibarsi, del nutrirsi, del principio di sopravvivenza.
Il
trapasso dal cibarsi necessario e dignitoso al vizio
dell’avidità golosa è stato formalizzato da un detto latino,
probabilmente risalente a Socrate: “Esse oportet ut vivas, non
vivere ut edas”, bisogna mangiare per vivere e non vivere per
mangiare.
Se
ne deduce che il peccato di gola ha all’origine un rapporto
disordinato con il cibo secondo la tipica deviazione del vizio,
cioè il mezzo si trasforma in fine. Il consumo non è più la
fine naturale di ogni prodotto, ma il suo fine. Sicché il nuovo
nome del peccato di gola potrebbe essere “consumismo”. È
questo a rompere l’equilibrio del rapporto con il cibo che si
manifesta in varie forme che hanno come estremi due eccessi: la
bulimia e l’anoressia.
La
bulimia: ha il suo aspetto rischioso nell’obesità,
nell’ingordigia, nella voracità. Al nutrirsi si sostituisce
il divorare, al cibarsi l’abbuffarsi, al saziarsi il
trangugiare.
L’anoressia:
può essere nella sua forma meno aggressiva l’ossessione della
dieta e della bilancia. Con questa frenesia per il peso si
proclama che l’unico valore è alla fine il corpo nella sua
visibilità esteriore e nella sua quantità.
Sia
nell’accumulo sfrenato del cibo sia nel suo rigetto si profila
un’incapacità di stabilire la vera gerarchia dei valori.
Il
Talmud, grande raccolta di tradizioni giudaiche, orientava il
fedele a fare attenzione: “La gola ha ucciso più uomini della
fame”, inteso sia in eccesso che in difetto, infatti afferma
anche che l’uomo alla fine della sua vita “sarà giudicato
anche per i piaceri leciti che non avrà voluto godere”.
È
famoso ed esemplare l’episodio raccontato dalla Genesi
riguardante Esaù che, tornato da una battuta di caccia sfinito
e affamato, si imbatte nel fratello minore Giacobbe che ha
preparato una minestra di lenticchie. Ed alla richiesta di Esaù
di mangiarla Giacobbe gli chiede in cambio la primogenitura ed
il relativo asse patrimoniale. Ed Esaù, accecato dalla fame
accetta sbrigativamente. La Genesei commenta: “A tal punto Esaù
aveva disprezzato la primogenitura” (Gen 25,29-34). Ne emerge
che la pulsione della fame scardina ogni valore.
L’affogarsi
esasperato nel mangiare è quasi un modo per soffocare
un’esistenza priva ed affamata di senso e di scopo. È
l’illusione che la quantità possa sostituire la qualità, che
la molta materia possa supplire allo spirito. Possiamo
concludere che sia il bulimico che l’anoressico hanno una
grande fame, una fame interiore, ma entrambi la esplicitano solo
materialmente ed in modo sbagliato:
il
bulimico, concentrandosi sull’atto fisico del mangiare,
credendo di saziarsi interiormente, ma scoprirà di sentire
sempre più vuoto e di avere sempre più fame;
l’anoressico,
invece, sembra fare un passo in avanti perché sposta la fame da
un livello materiale ad uno spirituale, capisce che la sua fame
è interiore, è una fame di bellezza che in realtà trova le
sue radici in una fame di senso, di valore, ma sbaglia, perché
esaspera questa fame a discapito di quella fisica; si vedrà
sempre troppo grasso/a e, sentirà sempre il proprio corpo come
un peso e la bellezza da raggiungere non sarà altro che
un’autodistruzione.
Il
legame tra gola e interiorità viene evidenziato dal termine
ebraico. Infatti, nell’ebraico biblico è un unico vocabolo ad
indicare entrambi i significati: nefesh=
gola e anima. Questo ci dice anzitutto che, se stanno insieme,
vanno saziate entrambe e non solo una a discapito dell’altra;
ma ci dice anche che riuscire a saziarne una in modo ordinato ed
equilibrato, significa riuscire a saziarle entrambe
ordinatamente, senza alcuna esasperazione. Sicché se riempirò
ordinatamente la mia anima, dando ascolto alla mia fame di
senso, riempirò anche la mia gola in modo sensato.
La
virtù che si oppone alla Gola è la Temperanza che in greco si
dice “enkrateia”
da “kratos” “forza”. La temperanza sta ad indicare un uomo che ha
potere e dominio su di sé. Tale potere non può che venirci
dalla profondità, da una vita interiore ben allenata e
cresciuta, dall’entrare in se stessi e prenderne coscienza e,
soprattutto, dalla Grazia di Dio.
a cura di don Angelo