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RELAZIONE
del CONSIGLIO PARROCCHIALE LAVORO
E FESTA Sono state discusse le
situazioni di precarietà, soprattutto fra i lavoratori più giovani, e
le condizioni di lavoro per valorizzare l'autonomia personale e la
creatività individuale. Sono emersi molti spunti su cui riflettere,
anche nella prospettiva di una maggiore crescita della consapevolezza
sociale di questi lavoratori. Più
che generalizzare , abbiamo preferito calarci nelle realtà locali. Da
una parte si è fatto uno spaccato della situazione torremaggiore circa
le varie forme di lavoro a cui possono aspirare i nostri concittadini:
agricoltura, imprese artigiane, commercio , terziario, imprese di trasformazione
del prodotto agricolo sul posto, vedi Cantine sociali e cantine private,
imprese di conservazione di prodotti agricoli, salumifici. Dall’altra
parte sono state prese in considerazioni le varie difficoltà che
incontrano i lavoratori torremaggioresi nell’approccio col lavoro:
la disoccupazione giovanile porta
molti giovani, specialmente laureati, a lasciare il paese per portarsi
al nord alla ricerca di una occupazione, lo stesso dicasi per muratori,
carpentieri etc. L’unico settore in grado di offrire occupazione è
l’agricoltura che, a causa dell’enorme richiesta di mano
d’opera in particolari periodi dell’anno in concomitanza con la
raccolta dei prodotti, richiama un notevole numero di extracomunitari
nel nostro centro. Spesso questi debbono lavorare in nero e sono
sottopagati e costretti a fare i conti col caporalato e talvolta col
mobbing. Altre forme di lavoro attualmente richieste sono nel sociale,
badanti, inservienti e donne di pulizia. La concorrenza spietata
in alcuni campi ( vedi commercio e terziario) fa creare e chiudere in
poco tempo posti di lavoro . In agricoltura la maggior parte dei nostri
concittadini è proprietaria di piccoli appezzamenti di terreni
coltivati e curati direttamente per cui i lavori vengono eseguiti nel
tempo libero, molto spesso di domenicae questo vale in particolare per i
braccianti, per gli impiegati e per i commercianti. L’obiettivo
primario resta comunque
sempre quello del maggior guadagno possibile senza calcolare le ore di
lavoro e le festività. Poiché il mondo del lavoro è in radicale trasformazione, con esso cambia anche il modo di vivere la festa. Per capire come queste realtà mutano, e per capire lo spazio che può avere la testimonianza cristiana della speranza in questo ambito, occorre ascoltare il ritmo dell’alternarsi di fatica e riposo. Si tratta però di vedere come vivere il lavoro, come vivere la festa, come vivere il loro rapporto, il loro tempo nella maniera giusta, da cristiani, che spazio c’è oggi per la festa e come essa può essere vissuta. Questa
non va confusa con il riposo settimanale, la festa deve
ritornare ai suoi
aspetti di tempo dedicato al rapporto con Dio, con la famiglia e con la
comunità circostante, non tempo “vuoto”, riempito con l’evasione,
il disimpegno e lo stordimento. Ritornando ad uno spaccato
della realtà Torremaggiore, non c’è uno stacco netto tra il lavoro e
la festa in quanto spesso per festa si intende solo il recarsi alla
messa nel pomeriggio e subito dopo la passeggiata d’obbligo nella
pineta. Un altro modo di vivere la festa da noi è quella di uscire per
svago, pub, ristoranti, cinema, sale da ballo, turismo. Non che queste
cose non debbano essere presenti nella vita di un uomo, ma quando
diventa routine settimanale, la festa diventa consumo o momento d’ozio, spesso vuoto e carico di noia
e il lavoro viene inteso necessità per il consumo e la festa come
necessità per liberarci dal peso del lavoro. Riflettendo
su come la nostra comunità cristiana
vive oggi queste problematiche sono emersi alcuni punti
essenziali da prendere in considerazione al fine di ritrovare la giusta
chiave di lettura del lavoro e del vivere la festa. Vi
è una scarsa attenzione nelle
parrocchie nei confronti del mondo del lavoro , di qui nasce
l’esigenza di utilizzare la festa per
un effettivo recupero della Dottrina Sociale della Chiesa al fine
di poter riempire spazi non più occupati o occupati in maniera
inadeguata rafforzando fra i cristiani il senso di operare nel sociale
ormai latente o addirittura assente. Conferenze e corsi della dottrina
sociale della chiesa si potrebbero tenere in luoghi che non sono avvezzi
a riceverla (sindacati, circoli, luoghi di lavoro e di ritrovo)
promuovendo una pastorale più missionaria . Si
potrebbe creare una scuola di politica sana per chi intende abbracciare
questa strada , in modo che una volta eletti i politici cristiani
possano essere esempi di rettitudine, di giusta operosità al
servizio dei cittadini e in particolare dei più deboli e “senza santi
in paradiso”. Si
potrebbe creare all’interno
di ogni parrocchia un osservatorio delle problematiche della parrocchia
stessa, del quartiere o della città con laici volontari che
rilevino i dati e collaborino con le autorità proposte al fine
di suscitare una progettualità concreta e fattiva. Inutile
soffermarsi sul fatto che la massima espressione del vivere la festa è
quella di viverla con i più deboli e i malati e nella nostra parrocchia
che gestisce due case di riposo, le occasioni non mancano. Manca invece
l’educazione di mettersi al servizio, indossare l’ormai noto
“grembiule” e anche se proprio non ci si vuole “sporcare troppo le
mani”,darsi da fare nel sociale. Per vivere una giornata di festa
niente di meglio che l’oratorio
all’ombra del campanile che dovrebbe
divenire luogo di socializzazione non solo per i ragazzi del quartiere
ma anche per le rispettive famiglie. Deve essere vissuto come luogo di
incontro per trascorrere un lasso di tempo insieme, scoprire gli altri,
informarsi della loro vita e dei loro problemi e prodigarsi per
risolverli con la pratica della carità e dell’amore. Per finire la
giornata tutti insieme nella sala cine o teatro dell’oratorio per
assistere ad uno spettacolo edificante e non di dubbia moralità. I
giovani potrebbero fermarsi al microbar dell’oratorio a prendere un
gelato e incontrarsi per chiacchierare del loro futuro invece di andare
a cercare svaghi o
“roba” che distruggono ogni speranza sui viali all’ombra di
altri campanili. E’ un sogno ? Forse
è la speranza che tutto non è perduto e che ancora si può
remare controcorrente ed essere uomini “diversi”. Con l’aiuto di
Dio e dei nostri parroci indefessi e lungimiranti, ubriachi di speranza,
queste domeniche potrebbero divenire realtà. La festa vissuta così sarà
veramente festa, ci si stacca nobilmente dal lavoro e si favorisce la
massima espressione del realizzarsi dell’uomo e del cristiano. |
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