Sito della Parrocchia  San Nicola - Via Fiani -  Torremaggiore (FG)
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ARROCCHIA SAN NICOLA

TORREMAGGIORE

CATECHESI COMUNITARIE MENSILI: I SETTE VIZI CAPITALI

 

IRA

Una poetessa americana dell’Ottocento, Emily Dickinson, scriveva nelle sue poesie:

“Una parola è morta

quando viene detta,

dicono alcuni.

Io, invece, dico che

comincia a vivere soltanto allora”.

Le parole hanno una grande forza che si manifesta proprio nell’essere pronunciate. Una parola può confortare, far sorridere, mettere gioia, rattristare, mettere ansia, far piangere, irritare…

Infatti per una parola rabbiosa, sfuggita in un eccesso d’ira, ci sono fratelli che si odiano per anni, ci sono amicizie che si spezzano irreparabilmente.

Ne deriva che se le parole hanno un grande potere, noi abbiamo una grande responsabilità nel gestirle. Responsabilità nell’uso delle parole significa: non essere superficiali nell’utilizzarle. A volte una parola detta da qualcuno ci resta impressa per tutta la vita. [Mi son chiesto: cosa fa’ in modo che una parola o una frase resti così impressa? Sicuramente quando è significativa, oppure quando ci coinvolge emotivamente, sia in positivo che in negativo].

Scriveva George Savile: “L’ira non manca mai di ragioni. Ma raramente ne ha una buona”.

Spesso per definire l’ira si usano immagini meteorologiche: è una “bufera”, è “tempesta”, l’umore che la genera è “burrascoso”, la voce del furioso è “sonante”. Non mancano rappresentazioni animali: l’arrabbiato è “come una belva”, è “come un cavallo imbizzarrito”, è “inviperito”; dice Proverbi 20,2: “L’ira di un re è simile al ruggito di un leone: chiunque la eccita rischia la vita”.

La parola ebraica, presente nell’AT, che indica il vocabolo dell’ira è: ‘af, il cui suono sta ad indicare e a richiamare le “narici” sbuffanti del collerico. Tale significato rimanda ancora ad un atteggiamento piuttosto animalesco.

Considerando tutte queste immagini utilizzate per dire l’ira e considerando un sinonimo di ira che è alterigia ne deriva che l’ira non ci fa essere noi stessi. I termini alterigia e alterare provengono dal latino alter che significa “altro”, “un altro”, o addirittura “l’opposto”.

Il Salmo (100, 5) recita: “Chi ha occhi altezzosi e cuore superbo non lo potrò sopportare”.

L’autore Achille Campanile scriveva: “Chi ha ragione di solito non urla, non scaraventa oggetti, ma lascia che la ragione s’imponga da sé…”. Quindi l’aggressività è segno dell’impotenza della razionalità di chi non riesce ad aggrapparsi alla coerenza della giustizia e precipita nell’assurdo, perdendo ogni autocontrollo.

Gli antichi latini dicevano che l’ira è initium insaniae, è un avvio verso la follia. Rende folli e chi è folle diventa incontrollabile. Infatti dice il libro dei Proverbi 17,14: “Iniziare un litigio è come aprire una diga e allora, prima che la lite si esasperi, troncala!”. Ed ancora: “Meglio abitare in un deserto che con una moglie litigiosa e irritabile”… “Se sbatti il latte, esce il burro; se schiacci il naso, ne esce sangue; se spremi la collera, ne esce la lite” (21,19; 30,33).

San Paolo scriverà “Nell’ira non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira e non date occasione al diavolo! …Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza…” (Ef 4,26.31).

Il contrario dell’ira e lo strumento per combatterla è la Mitezza/Dolcezza.

 

 

 a cura di don Angelo

                                     

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