Sito della Parrocchia  San Nicola - Via Fiani -  Torremaggiore (FG)
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PARROCCHIA SAN NICOLA

TORREMAGGIORE

CATECHESI COMUNITARIE MENSILI: I SETTE VIZI CAPITALI

 

PIGRIZIA

Jerome Klapka aveva scritto un frase che rendeva bene l’idea di pigrizia: “Il lavoro mi piace, mi affascina. Potrei stare seduto per ore a guardarlo”.

Ci sono alcuni modi di dire che esprimono la pigrizia coniati fin dall’antichità i quali ci ricordano che la pigrizia è qualcosa di antico: “dolce far niente” coniata dall’autore latino Plinio il giovane (61-62 d.C.); “stare con le meni in mano” attribuito allo storico Tito Livio (59 a.C.); “stare a guardare il soffitto” attribuita al retore Quintiliano (I sec. a.C).

Accidia deriva dal greco akedìa e significa soprattutto una noncuranza, una trascuratezza un po’ scoraggiata e triste. Se è vero che può essere una maledizione la frenesia nel lavoro, è altrettanto vero che l’inerzia è una dissoluzione della vita, è un’assenza all’interno di un progetto, è un foglio bianco che non conterrà mai un messaggio.

La pigrizia sembra essere, tra i sette vizi capitali, il più innocuo, quello meno appariscente e che sembrerebbe avere meno conseguenze negative. Perciò sembrerebbe richiedere anche meno attenzioni da parte nostra. Ma niente di più sbagliato. La pigrizia richiede la nostra massima attenzione perché non è un caso se, addirittura, si dice che “L’ozio è il padre dei vizi”.

Stando a Plutarco, Catone il Censore (II sec a.C.) ammoniva che “a non far niente s’impara a fare il male”. Gli arabi usano questo aforisma: “Chi vuol fare qualcosa trova sempre un mezzo per farlo; chi non vuole far niente trova sempre una scusa”.

Nella Bibbia troviamo diversi riferimenti alla pigrizia, ma ne sottolineiamo solo alcuni: “Va’ dalla formica, o pigro, esamina le sue abitudini e diventa saggio. Essa, pur non avendo un capo, un sorvegliante o un padrone, si provvede lo stesso il vitto d’estate, accumulando cibo al tempo della mietitura. Fino a quando, o pigro, te ne starai a dormire? Quando ti scuoterai dal sonno?” (Pr 6,6-9). “Non amare il sonno se non vuoi diventare povero” (Pr 20,13). “La porta gira sui cardini, così il pigro si volta sul suo letto” (Pr 26,14).

Nel Nuovo Testamento ricordiamo la scena del Vangelo di Matteo con quel servo svogliato che, dopo aver ricevuto dal suo signore in custodia un talento, si accontenta di fare una buca nel terreno e di nasconderlo (Mt 25,14-29). Oppure l’episodio familiare con due figli, l’uno tutto parole e apparenza, che si dichiara pronto a correre nel campo a lavorare, ma poi se ne sta a poltrire in casa, e l’altro, che alza le spalle rifiutando l’impegno, ma poi s’avvia a lavorare nella campagna (Mt 21,28-31).

“Noi non abbiano mai vissuto oziosamente fra voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica notte e giorno per non essere di peso a nessuno fra voi. Eppure avevamo il diritto di farlo, ma abbiamo voluto darvi un esempio da imitare. Quando eravamo con voi, vi avevamo assegnato questa regola: chi non vuol lavorare, neppure mangi!” (1Ts 3,7-10).

 Tuttavia, vi è da sottolineare anche un profilo positivo nell’ozio. Infatti, come abbiamo sottolineato per gli altri vizi, la pigrizia può essere una virtù degenerata e deformata. L’ozio può, infatti, rimandare alla riflessione (l’otium letterario), allo studio pacato e sereno, alla quiete meditativa, alla riscoperta dell’equilibrio interiore. Esso è, piuttosto, da identificare con il riposo che, tra l’altro, ha nel sabato biblico la sua rappresentazione più alta come segno di armonia con il ritmo del creato. La civiltà contemporanea, invece, si regge su un dinamismo che sconfina nella follia. La legge del tutto e subito impera in ogni settore. È famosa la battuta dell’imperatore romano Tito al termine di un giorno troppo “normale”: “Diem perdidi!”, “ho perso la giornata!”. C’è, dunque, alla radice della pigrizia un valore che viene poi corrotto dall’uso deviato o smodato.

La pigrizia nasce e si alimenta a una radicale noia di vivere. È espressione di un vuoto spirituale nel quale non si incontra né Dio né l’uomo. Il vizio si configura quando l’uomo non si scuote, non ingaggia battaglia, ma si lascia abbracciare, cullare, assorbire dai tentacoli del vuoto. Il peccato si annida non tanto nella sensazione di vuoto, ma nella sua accettazione come situazione invincibile.

Quali le radici della pigrizia? Sicuramente una delle cause, tenendo conto il contesto attuale, è da ricercare in un eccesso vizioso nel consumo dei beni, delle esperienze, delle emozioni. Ogni eccesso non stimola, ma satura. Ed è qui che s’impianta la pigrizia.

Ma c’è un’altra radice della pigrizia. S. Tommaso d’Aquino la identifica nella violazione della carità o nella sua mancanza. L’indifferente, infatti, non si preoccupa di cercare Dio, ma non si cura neppure di stendere la mano verso il prossimo. Stando a questa radice potremmo dire che il peccato più praticato dall’accidioso è quello di omissione.

 Uno degli esiti di questa malattia spirituale è la rassegnazione. Ma chi si rassegna già in partenza è da subito votato alla sconfitta. Non per nulla il verbo “rassegnarsi” è usato all’attivo per indicare chi “rassegna” le dimissioni, ritirandosi dall’impegno assunto. Tale rassegnazione soffoca l’intelletto, produce la sensazione di essere abbandonati da Dio, fa trascurare la vita interiore.

Il filosofo tedesco Friedrich Wilhelm Nietzsche, in Così parlò Zaratustra, affermava: “Bisogna avere caos dentro di sé per partorire una stella danzante”. Ebbene, nel pigro c’è solo materia inerte, non quell’energia, pur caotica ma vitale, che riesce a generare luce. Il poltrone non riesce, con il suo desiderio, a protendersi oltre la sua poltrona.

La pigrizia porta all’alterazione della propria vita, come diceva Ovidio: “le acque, se non si muovono, imputridiscono” (Epistulae ex Ponto 1,5,6). L’ozio, l’inattività accolta e amata, è simile a una cancrena che, impedendo lo scorrere della linfa vitale, progressivamente paralizza e irrigidisce l’anima e l’esistenza.

La strada contro la pigrizia è quella di riattivare, prestando loro ascolto, i grandi desideri che Dio ha messo nel cuore di ogni uomo. Primo fra tutti l’amore che si tradurrà e concretizzerà sicuramente in passione per la vita, passione per gli altri e passione per Dio.

 a cura di don Angelo

                                     

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